Obblighi di Aurora Rose Reynolds – Primo Capitolo

Obblighi di Aurora Rose Reynolds – Primo Capitolo

Salvata da una situazione di pericolo, in cui non sapeva neppure di trovarsi, Myla si ritrova sposata a Kai, un maschio Alpha che solo la penna di Aurora è in grado di creare. Hawaiano, lunghi capelli neri, fisico scolpito e una devozione totale per Myla.
Leggete gratuitamente il primo capitolo di Obblighi, il secondo volume della serie Underground Kings, che sarà online dal 26 marzo!

Obblighi di Aurora Rose Reynolds

 

Capitolo 1

Mio marito

Sento il sole sulle palpebre chiuse e qualcosa di affilato che mi punzecchia la faccia. Spostando una mano, tento di sfuggire al dolore e gemo quando mi graffia la guancia. Sollevo la testa e mi passo le dita sul viso, sentendolo umido. Apro gli occhi per vedere una lieve macchia di sangue sulle mie dita. Volto la mano, e poi vedo l’anello appariscente che adesso ha preso possesso del mio anulare.

«Grande,» sussurro, chiudendo gli occhi e appoggiando di nuovo la testa.

Ho pregato, prima di andare a dormire, che quando mi fossi svegliata l’anello che indosso adesso e l’uomo che lo ha messo lì non sarebbero stati altro che un brutto sogno. Non ho avuto fortuna. Mi volto e faccio un respiro tremante, bramando di chiudere gli occhi ancora per qualche altro secondo, desiderando di poter solo dormire finché tutto quanto non sarà di nuovo normale.

«È ora di alzarsi.»

Volto il capo e incontro gli occhi del mio nuovo marito, mentre lui mi guarda dal vano della porta aperta della camera. Assomiglia a un antico guerriero hawaiano. I lunghi capelli mossi sono legati in una coda all’altezza della nuca con un laccio di pelle. Il suo naso ampio e la mascella squadrata fanno in qualche modo apparire mascoline le sue labbra piene e le sue ciglia lunghe. Dal momento che sono un metro e settanta, non mi sono mai sentita bassa, ma accanto a lui mi sento minuscola. Deve essere alto almeno due metri. Ha le spalle così larghe che non sarei sorpresa se dovesse piegarsi un po’ per passare attraverso la maggior parte delle porte.

«Se non dovessimo incontrarci con il mio avvocato, ti avrei lasciata dormire,» mi informa, strappandomi alla mia analisi.

Quello di cui devo essere riconoscente è che, sin dal momento in cui mi ha salvata, è stato sorprendentemente gentile e delicato con me.

«Mi sto alzando,» gli dico a bassa voce e comincio a sedermi, ma il dolore mi assale a un fianco, costringendomi a inspirare in modo brusco.

«Pensavo che avessi detto che non eri ferita,» borbotta lui.

Poi vengo messa con gentilezza in posizione seduta sulla sponda del letto. Sono così concentrata sul tentare di respirare che non mi accorgo nemmeno della sua vicinanza finché non sento la sua mano sulla pelle nuda della spalla.

«Sto bene,» mormoro, tentando di scacciare con il respiro il dolore e le sensazioni che mi frullano nello stomaco.

«Dovrai andare da un dottore.»

«Non credo,» gli dico, alzando la testa e incontrando i suoi occhi.

«Myla.» Addolcisce lo sguardo quando il mio nome abbandona la sua bocca, poi solleva una mano, facendomi sobbalzare e lui reagisce serrando la mascella.

«Scusa,» sussurro alzandomi.

«Dobbiamo parlare di quello che è successo,» ordina, appoggiando la mano sulle sue gambe.

«Quanto tempo ho per prepararmi?» chiedo, avviandomi verso il bagno.

«Trenta minuti,» replica, e io mi volto a guardarlo.

Quando i nostri sguardi tornano a incrociarsi, nei suoi c’è un lampo di fastidio mentre si alza in piedi.

«Ne parleremo,» dichiara, uscendo dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé, senza dire un’altra parola.

Fisso la porta per un momento, prima di voltarmi ed entrare in bagno, dove apro il rubinetto, appoggiando le mani sul bancone, e mi guardo nello specchio, osservando le lacrime che cominciano a riempirmi gli occhi.

«Sei forte, Myla. Puoi farcela,» sussurro a me stessa, facendo un profondo, tremulo respiro e poi esalandolo, spruzzandomi il viso con l’acqua fredda.

Quando mi guardo di nuovo, le lacrime sono state lavate via, non ne rimane traccia. Afferro un asciugamano da uno scaffale e vi seppellisco il viso, attutendo il suono del singhiozzo che mi si arrampica su per la gola.

Sento che la mia anima si è annerita, non solo a causa di ciò a cui ho assistito, ma per ciò che ho fatto. Non ho idea di come superare la vista di persone che muoiono di fronte a me o la consapevolezza che io sono la ragione per cui sono morte.

Mi asciugo la faccia e mi avvicino alla porta di vetro della doccia, facendola scorrere di lato prima di aprire l’acqua. Quando sento che è calda a sufficienza, mi tolgo i vestiti con attenzione ed entro, lasciando che il getto che scende dal soffione si riversi su di me. Vorrei davvero sedermi sul pavimento della doccia e piangere, ma in questo momento non è un’opzione possibile.

Mi bagno i capelli, poi mi guardo intorno nella doccia, trovando una mensola piena di bottiglie di differenti doccia-schiuma. Li passo rapida in rassegna, trovandone uno da donna, poi ne verso una gran quantità su una mano e mi insapono. Non so con certezza se questo sia il bagno di Kai, ma se per caso lo fosse, non voglio usare qualcosa di suo e avere il suo stesso odore per il resto della giornata. Stare a contatto con lui è già difficile così.

Mi risciacquo ed esco, prima di asciugarmi e raccogliere i vestiti dal pavimento. Quando ritorno in camera, la osservo per la prima volta da quando sono arrivata qui l’altra notte. È gigantesca, con due ampie porte a vetri che danno sull’oceano. Mi avvicino alle vetrate e guardo verso l’acqua.

A Seattle, vivo in un bellissimo appartamento con due camere da letto. Ho scelto quel complesso per via della vista sull’oceano di cui gode, ma la vista da casa mia non è niente paragonata a questa. Dove vivo io, alcuni terreni bloccano la vista, e l’acqua è così scura che sembra quasi nera. Qui, invece, è di un blu che non ho mai visto prima. Così blu che quasi assomiglia al cielo in una giornata cristallina.

Ritorno a guardare la stanza e i miei occhi si posano sull’enorme letto coperto da un set di lenzuola di un bianco puro. È perfino più grande del letto California king-size che possiede una mia amica, e sarebbe della misura perfetta per un uomo della taglia di Kai. Su ambo i lati del letto c’è un comodino con una lampada che assomiglia a un cumulo di legnetti. Le lampade si coordinano con la cassettiera, che è lunga e ha diverse cianfrusaglie appoggiate sopra. Ce n’è un’altra più alta, ma è del tutto sgombra.

La stanza non ha dipinti o qualsiasi altra cosa a donarle un po’ di colore o a rivelare a chi appartenga. Scuoto la testa per quel pensiero e guardo i vestiti che avevo addosso prima, arricciando il naso. Anche se l’altra notte ero abbastanza esausta da addormentarmi vestita, ora non me la sento di rimetterli. Vado alla cassettiera lunga, apro il primo cassetto e ci trovo dei boxer da uomo. Ne prendo un paio e me li infilo da sotto l’asciugamano. Quando apro il cassetto successivo, trovo dei calzini e mi infilo anche quelli, dopodiché cerco negli altri cassetti, trovando una maglietta che indosso subito, stando attenta ai lividi che ho sul fianco.

Una volta vestita, riporto l’asciugamano in bagno e lo appendo. Trovo del dentifricio e uso il dito per lavarmi i denti, prima di fare un respiro, preparandomi ad affrontare Kai e il suo avvocato. Ieri, quando ci siamo sposati, non ho firmato un accordo prematrimoniale, anche se gli uomini che erano con Kai avevano insistito perché lo facessi. Non ho proprio compreso perché fossero così irremovibili fino a dopo il matrimonio e in aeroporto.

Mi ero aspettata solo che salissimo su un volo. Sono rimasta scioccata quando siamo stati scortati verso un aereo privato. Sono rimasta ancora più sorpresa quando ho visto che il nome sull’aereo era quello del mio nuovo marito. In qualche modo, ho ripreso il controllo di me stessa quando siamo arrivati alle Hawaii, ma sono rimasta di nuovo sconvolta quando una Bentley è venuta a prenderci in aeroporto e ci ha portati alla villa. Ho frequentato persone con i soldi, ma non sono mai stata intorno a qualcuno con la quantità di denaro che è ovvio Kai possegga.

Vado alla porta e mi passo le dita tra i capelli bagnati, prima di voltare il pomello e aprirla di un centimetro per sbirciare fuori. Ai miei occhi occorre un secondo per abituarsi all’oscurità del corridoio, ma quando succede, si connettono con un paio di occhi nocciola circondati da ciglia scure.

«Myla,» dice l’uomo.

Sbatto le palpebre un paio di volte e osservo i suoi lineamenti. I suoi capelli sono castano scuro, il naso ampio e il colore della pelle sono simili a quelli di Kai. Abbasso gli occhi sulla sua bocca e lui sorride, facendomi assottigliare gli occhi prima di sollevarli per incontrare di nuovo i suoi.

«Tu chi sei?» domando, aprendo la porta del tutto e incrociando le braccia sul petto.

Lui sposta lo sguardo sulle mie braccia, poi lo solleva ancora e il suo sorriso si amplia. «Aye.»

«Cosa?» Aggrotto la fronte quando lui ridacchia.

«Il mio nome è Aye.»

«Come quando un pirata dice di sì?» indago. «Cosa c’è di così divertente?» brontolo, quando lui si piega in avanti, reggendosi la pancia e ridendo.

Ci vuole un momento, ma alla fine si ricompone e si mostra in tutta la sua altezza.

«Mi chiamo Aye, ma i miei amici mi chiamano Daddy. Che ne pensi di farlo anche tu?» mi domanda, allungando una mano.

«Non ti chiamerò Daddy,» dico, guardando il fremito nelle sue labbra.

«Non sei costretta a chiamarmi Daddy.» Sorride e mi ricorda un bambino piccolo. «Puoi chiamarmi Aye.»

Il mio broncio si intensifica. «Le persone ti chiamano davvero Daddy?» Assottiglio gli occhi, sfidandolo a mentire.

«Certo che sì,» sorride lui, chiudendo intorno al mio braccio la mano che mi ha offerto perché la stringessi. Poi mi allontana dalla porta e la chiude, prima di mettermi il braccio attorno alle spalle e condurmi lungo il corridoio.

«Che stai facendo?» Mi allontano dalla sua presa.

Lui aggrotta le sopracciglia e guarda alla fine del corridoio, dove siamo diretti. «Kai non ti ha detto che sarei stato la tua guardia del corpo?» mi domanda, e io scuoto la testa. «Beh, siamo io e Pika, ma adesso lui non è qui, quindi sono solo io finché non torna.»

«Pensavo di essere al sicuro, ora,» mormoro, cingendomi il corpo con le braccia.

«Sei al sicuro,» dice lui, preoccupato, osservandomi. «Nessuno arriverà a te.»

«Puoi solo portarmi da Kai?» domando piano, sentendomi ansiosa. Anche se non lo conosco bene, è l’unica persona di cui mi fidi in questo momento.

«Ma certo,» dice lui sottovoce, prendendomi per mano e conducendomi lungo il corridoio.

Quando arriviamo al pianerottolo, vedo che siamo al terzo piano. Davanti a noi c’è una balaustra di vetro che dà su una grande scalinata in legno. I gradini scendono verso un livello con pavimenti di parquet. Poi un’altra scalinata conduce alla spiaggia sottostante. Non ho mai visto niente di così meraviglioso. L’oceano è a pochi metri di distanza, ma la spiaggia è proprio all’interno.

«Deve essere costoso tenere pulito questo posto,» mormoro tra me e me, guardando verso l’oceano e la sabbia che si estende sul livello inferiore della casa.

Sento Aye ridacchiare di nuovo, prima che mi strattoni la mano e cominci a portarmi verso una passerella, lungo un altro corridoio e dentro una grande sala da pranzo, dove Kai e un altro uomo sono seduti di fronte a dei documenti sparsi. Non appena entro nella stanza, entrambi girano la testa verso di noi. Gli occhi di Kai si spostano dai miei capelli ancora bagnati ai calzini ai miei piedi, prima di allungare una mano nella mia direzione, facendo un cenno quasi impercettibile con il capo. Non voglio andare da lui, ma qualcosa nello sguardo che mi sta lanciando mi suggerisce di farlo. Mi avvicino e gli prendo la mano, senza neppure sussultare quando mi fa sedere sulle sue gambe.

«Makamae,» mi sussurra contro l’orecchio, poggiandovi un bacio.

Mi si annoda lo stomaco, così seppellisco le unghie nel palmo della mano mentre volto il capo per guardarlo. Quando i nostri occhi si incontrano, provo a capire in silenzio che cosa stia facendo.

«Hai trovato dei vestiti,» mi dice a bassa voce, mentre con le dita gioca con l’orlo dei boxer che indosso.

«Spero che non ti dispiaccia,» mormoro, afferrandogli la mano e interrompendo i suoi movimenti.

«Non rifiuterei niente a mia moglie,» mormora lui, sostenendo il mio sguardo.

Lotto per non distogliere lo sguardo, per non sfuggirgli.

Dal momento in cui l’ho conosciuto, ho capito che si trattava di una persona che non avrei mai voluto sfidare, ma era il mio salvatore. Perfino sapendo che ha promesso di non farmi del male, sento ancora l’impulso di ritrarmi da lui e dall’energia che mi si avvolge intorno.

«Ti senti meglio, adesso che ti sei fatta una doccia?» Mi scruta il volto, accarezzandomi il mento.

«Sì,» mormoro, il nodo al mio stomaco che si allenta e un’altra sensazione comincia a mettere radici.

«Bene,» mormora, sporgendosi in avanti e sfiorandomi appena le labbra con le sue.

Gli appoggio una mano sul petto, sentendo il calore della sua pelle e il battito del suo cuore attraverso il tessuto della maglietta. Quando si allontana, i suoi occhi osservano i miei per un momento, prima di spostarsi. Nel momento in cui la connessione si infrange, inspiro e mi giro sul suo grembo per guardare l’uomo dall’altra parte del tavolo.

«Myla, vorrei presentarti il detective, Nero Wolfe. Nero, questa è mia moglie, Myla Kauwe.» Mi strizza la coscia quando gli affondo le unghie nella sua.

«Piacere di conoscerla, Myla.» L’uomo mi sorride, mostrandomi la fossetta sulla sua guancia sinistra, sottolineata dalla pelle abbronzata. Gli occhi castano scuro si spostano da Kai a me, e intanto scuote la testa, facendo scivolare i suoi disordinati capelli biondo cenere contro il colletto della camicia del completo. Se non stesse indossando quell’abito, lo avrei preso per un surfista, non un detective.

«Piacere di conoscerla,» mormoro, dimenandomi appena sotto il suo sguardo. Sapevo che alla fine avremmo dovuto parlare con la polizia di ciò che è accaduto, ma speravo che avrei avuto qualche giorno per me, per elaborare il tutto.

«Kai mi ha aggiornato sulla maggior parte di ciò che è avvenuto, ma ho comunque qualche domanda da farle. Per lei va bene?» mi domanda piano.

Lotto contro me stessa per non voltarmi a guardare Kai per chiedergli il permesso. Non ero preparata a questo, e mi sento come se fossi stata messa sotto un riflettore.

«Ma certo.» Annuisco e mi ritraggo da Kai, spostandomi su una sedia. Devo ricordare che questa è tutta una bugia; potremo anche essere sposati, ma non è per nostra scelta, è per necessità. Non posso permettere alle mie fragilità di influenzare la situazione. E, per quanto odi ammetterlo, Kai ha un enorme effetto su di me.

«Beh, cominciamo, allora,» dice Nero, riordinando alcuni documenti sopra al tavolo. «So che lei e Kai vi siete sposati ieri a Las Vegas, ma può dirmi cos’è successo il giorno precedente?»

Mi stringo il corpo con le braccia e guardo verso la porta da sopra una spalla, il punto dove voglio scappare, ma i miei occhi atterrano su Aye, che annuisce e mi lancia un piccolo sorriso. Poi sento una pressione sulla coscia e la ruvidezza del palmo di Kai, che si muove sulla mia pelle.

Volto il capo di nuovo verso Nero senza dare retta a Kai. «Cosa le piacerebbe sapere?»

«Cominci dall’inizio.» L’uomo mi fa un piccolo sorriso, prendendo una penna.

Annuisco di nuovo e mi infilo i piedi sotto le cosce sulla sedia, tentando di riorganizzare i pensieri prima di cominciare.

«Posseggo una pasticceria in centro a Seattle che si chiama Raining Sprinkles.» Deglutisco, ricordandomi che la mia pasticceria non è altro che cenere e macerie adesso.

«Si prenda il tempo che le serve,» dice Nero, in tono confortante.

«Come ho detto, posseggo una pasticceria e la domenica la apro da sola e do alle mie ragazze la giornata libera, perché di norma è una giornata pigra in negozio. In realtà, la giornata è cominciata come tutte le altre. Sono arrivata intorno alle cinque, ho fatto una caraffa di caffè e mi sono occupata di alcune cose in ufficio fino alle sei circa. Poi sono andata in cucina e ho preparato qualche infornata di muffin. Una volta messi nel forno sono uscita per cominciare a rifornire le vetrine. Alle otto, ho girato il cartello su “aperto” al pubblico e non molto tempo dopo è entrato il mio primo cliente.»

Faccio una pausa, prendendo un respiro mentre mi stringo le braccia un po’ più forte intorno. «Il resto della giornata è stato privo di eventi. Non c’è stato niente di fuori dal comune. Ero occupata perché ero da sola, ma me l’aspettavo. Intorno alle due e mezza, sono andata sul retro e ho infilato un carico di piatti nella lavastoviglie, e quando sono tornata ho realizzato che l’uomo di quella mattina era ancora allo stesso tavolo a cui si era seduto quando avevo aperto.»

Chiudo gli occhi e li riapro con lentezza. «Sono andata ad assicurarmi che stesse bene e che non volesse nient’altro. Poi gli ho detto che avrei chiuso alle tre. Quando sono arrivate le tre in punto, se n’è andato. Mi sono occupata di un paio di clienti che stavano aspettando che mettessi i loro ordini nelle scatole e li ho accompagnati alla porta per salutarli. Non appena se ne sono andati, ho chiuso la porta, e stavo girando il cartello quando quell’uomo è arrivato correndo, facendomi capire che pensava di aver lasciato il suo telefono nel bagno.»

Mi mordo un labbro e, senza pensare, guardo Kai, per poi tornare su Nero prima di parlare di nuovo. «Avevo una sensazione strana, quindi sono rimasta accanto alla porta mentre lui cercava il telefono. Lo stavo guardando quando la porta è stata spalancata e io sono barcollata all’indietro. Pensavo che fosse un cliente, ma è stato in quel momento che ho alzato gli occhi e ho visto mio fratello, Thad.» Rabbrividisco, con la bile che mi risale la gola e la nausea mi turbina nello stomaco.

«Si sente bene?» domanda Nero, mentre io faccio un respiro profondo.

«Sì,» sussurro, appoggiando i piedi sul pavimento e allontanandomi dal tocco di Kai. «Sono rimasta sorpresa quando ho visto di chi si trattava. Non lo vedevo da quando avevo diciotto anni e me ne sono andata di casa. È entrato spingendomi via e poi ha fatto entrare qualche altro uomo,» affermo, e sento la mano di Kai in basso sulla mia schiena che mi solleva la maglietta con gentilezza. Poi le sue dita cominciano a muoversi sulla mia pelle. Mi domando se stia cercando di ricordarmi delle cose di cui non dovrei parlare.

«Poi cos’è successo?» domanda Nero a voce bassa, e io mi appoggio un po’ alla mano di Kai, che smette per un attimo di muoversi, per poi ricominciare.

«Mi ha costretta a entrare nella stanza. Mio fratello ha detto che doveva dei soldi a degli uomini e che dovevo darglieli io. Non so se fosse drogato o cosa, ma sembrava parecchio spaventato. Gli ho detto che non avevo la somma di denaro che mi stava chiedendo e lui mi ha legato a una sedia.»

«Poi cos’altro?»

«Non lo so,» dico, debole. «Sono stata colpita alla testa e quando mi sono svegliata, Kai mi stava tirando fuori dall’edificio in fiamme.» Guardo Kai e, anche se non ho mai raccontato a nessuno tutti i dettagli di cosa è successo davvero, so che quella parte non è una bugia, e sarò per sempre in debito con lui.

«Poi siete andati a Las Vegas e vi siete sposati?»

Distolgo gli occhi da Kai per guardare Nero. «Sì. Beh… stavamo pianificando di sposarci,» mento.

La mano di Kai si ferma sulla mia schiena. Non abbiamo mai parlato di cosa mi sia successo con precisione o che cosa avrei detto se qualcuno mi avesse chiesto di ciò, così provo ad agire d’istinto.

«Dopo quello che è successo, mi sono resa conto di quanto sia breve la vita, ho detto a Kai che non volevo vivere un altro giorno senza di lui e che ero stanca di mettere in secondo piano la nostra relazione. Perciò ci siamo fermati a Las Vegas durante il viaggio fin qui e ci siamo sposati,» gli dico.

Nero mi scruta il volto. Poi abbassa lo sguardo sul taccuino di fronte a sé, dove comincia di nuovo a scrivere.

Mi mordo un labbro, sentendomi come se avessi sbagliato qualcosa. Non ho idea di ciò che avrei dovuto dire. Non penso che: “L’ho incontrato ieri per la prima volta e l’ho sposato perché mi ha detto che era l’unico modo in cui poteva tenermi al sicuro, a questo punto,” sarebbe stato il messaggio corretto.

«E non si ricorda nient’altro?» mi domanda l’uomo, sollevando il viso per guardarmi.

Scuoto la testa e mi rimetto i piedi sotto le cosce. «No,» mormoro, premendo insieme le labbra.

«Può dirmi qualcosa di suo fratello?»

Il mio corpo si irrigidisce e sento il sangue defluire dal volto. «Non c’è niente da dire,» sussurro, odiandomi un pochino per essere così debole, quando si tratta di lui.

«Si sente bene?» domanda Nero, leggendomi il volto.

«Bene. Solo stanca.» Mi siedo dritta, puntando i gomiti sul tavolo, allontanandomi i capelli dal viso mentre mi tornano in mente le immagini del mio passato.

 

Essere portata via dai miei genitori quando ero piccola prima che mi dicessero che erano morti.

Trasferirmi con Modesto e Ida Akskvo e i loro due figli, Thad e Royce.

Sentirmi dire che se avessi mai parlato del posto da cui venivo davvero, sarei morta.

Costruirmi nuovi ricordi felici con la mia nuova famiglia.

Lavorare nella pasticceria di mio padre Modesto. Fare spese con mamma Ida.

Passare il tempo con mio fratello Royce.

 

Ma poi tutto è cambiato quando ho compiuto sedici anni e Thad ha cominciato a intrufolarsi nella mia stanza la notte, mostrandomi che l’inferno può esistere anche sulla Terra.

I ricordi delle cose che mi ha fatto, delle parti di me che si è preso, mi provocano un conato. Mi alzo dalla sedia ed esco correndo dalla sala da pranzo. Non ho idea di dove stia andando e comincio ad aprire e chiudere porte lungo il percorso, finché infine non ne trovo una che conduce a un bagno. Mi sbatto la porta alle spalle, armeggiando con la serratura finché non la sento scattare, per poi tastare la parete, trovare l’interruttore e accendere la luce.

Nel momento in cui i miei occhi si abituano alla luce, vedo il mio riflesso che mi restituisce uno sguardo. Ho il viso pallido, i miei capelli biondo cenere sembrano stopposi e le mie labbra sono di un rosa più scuro del normale. Un’altra ondata di nausea mi colpisce e mi lancio verso il water. Mi ci vogliono alcuni minuti per riprendere il controllo, e quando succede realizzo che qualcuno sta battendo così forte sulla porta che i quadri sulle pareti tremano.

«La sfondo con un calcio!» urla Kai dall’altra parte.

Sto per dirgli che sto aprendo, quando la porta si spalanca, sbattendo contro la parete, e il legno vola da tutte le parti. Kai appare sulla soglia. I nostri sguardi si incrociano e io vedo qualcosa lampeggiare nei suoi occhi, mentre si avvicina a me con passo pesante.

 

«Ho intenzione di portarti in braccio, così non troverai ostacoli tra i piedi,» mormora, sollevandomi. «Aye, di’ al detective Nero che dovremo rinviare. Mia moglie non si sente tanto bene,» borbotta Kai, trasportandomi nella stanza in cui ero stamattina e chiudendo la porta con il piede, prima di portarmi al letto, dove mi appoggia con gentilezza. «Lascia che ti prenda un asciugamano,» mi dice, entrando in bagno.

Sento l’acqua che si apre e, un momento dopo, lui rientra con un asciugamano.

«Devi dirmi cos’è successo nella pasticceria prima che arrivassi io.»

Si siede sulla sponda del letto e me lo porge. Lo prendo dalla sua mano, tentando di controllare il modo in cui sto tremando. Quello che è successo comincia a scorrere nella mia mente come un vecchio film.

«Myla, mi sei mancata,» dice Thad, cingendomi la vita con un braccio, facendomi indietreggiare dentro il negozio.

Il suo corpo si piega, il suo viso va al mio collo e io sento la sua lingua toccarmi la pelle. Mi sento congelare e mi odio all’istante per non aver urlato, per non aver lottato, ma, come tantissimi anni prima, il mio corpo si è paralizzato per la paura.

«Cosa ci fai qui?» sussurro, mentre altri due uomini entrano. Mi si rivolta lo stomaco quando vedo uno degli uomini chiudere la porta e girare la chiave nella serratura.

«È il tuo compleanno,» dice lui, cominciando a spingermi nel retro del negozio.

Urlo e tento di divincolarmi, lui prima sorride maligno e poi comincia a ridere. Mi preme le dita sulla pelle, così forte che capisco che comparirà un livido.

«Ti prego, lasciami andare.» Provo a divincolarmi di nuovo, ma lui stringe la presa e mi trascina nel retro del negozio, spingendomi su una sedia.

«Zitta,» mi ordina premendomi un dito sulla faccia. Poi guarda verso uno degli uomini che sono appena entrati. «Vai a casa sua e prendi tutta la sua roba. Poi incontriamoci qui,» dice, lanciando la mia borsa all’uomo.

«Capito,» risponde lui, pescando le mie chiavi nella borsa e lasciando la stanza.

«Cosa sta succedendo? Perché sei qui?» sussurro.

Thad si volta verso di me. Mi porta la mano al mento, il pollice e il medio su ambo i lati, stringendo forte.

«Ti porto a casa, così puoi sposarti. La mamma sarà davvero felice,» sorride lui.

Sento la bile risalirmi la gola, rendendomi difficile respirare. «Di che cosa stai parlando?» Alla fine mi riscuoto dalla paura.

«Oh, principessa, ci sono così tante cose che non sai.» Appoggia le mani ai braccioli della sedia e il suo corpo mi ingabbia del tutto. «Non preoccuparti, però. Avremo un sacco di tempo per parlarne.» Mi lecca il collo, facendomi rivoltare lo stomaco.

Quando si allontana, i miei occhi si fissano sull’uomo dall’altra parte della stanza, l’uomo che è stato nel mio negozio tutto il giorno. Qualcosa lampeggia nei suoi occhi, ma lui distoglie lo sguardo da me prima che possa coglierlo.

«Abbiamo una giornata piena davanti a noi,» dice Thad.

Mi guardo intorno, tentando di programmare la mia fuga.

«Myla? Myla.»

Mi rendo conto che qualcuno mi sta scuotendo. Concentro lo sguardo sul viso di Kai sopra di me e mi ritraggo, battendo la testa contro la testiera del letto.

«Attenta,» si lamenta, mentre io mi massaggio la testa.

«Scusa.»

«Non ti scusare.» Distoglie lo sguardo da me e lo punta sulla vista dell’esterno. «Vuoi parlare di quello che è successo?»

Scuoto la testa e mi rendo conto che lui sta ancora guardando fuori dalla finestra. «No.» Mi appoggio alla testiera e chiudo gli occhi. «Mi dispiace di aver detto al detective che ci frequentavamo. Mi ha colto di sorpresa ed ero già imbarazzata e, a essere onesta, non avevo idea di cosa dire. Forse ne avremmo dovuto parlare. Insomma, non so nemmeno se hai una ragazza.» Apro gli occhi di scatto e li fisso nei suoi, e riesco a vedere le rughe di una risata che gli increspa la pelle e un sorriso sulle sue labbra. «Hai una ragazza?» sibilo, guardando il suo sorriso ampliarsi.

«Tu parli un sacco,» ridacchia, scuotendo la testa.

«Allora, ce l’hai?» sbuffo. Non ci ho mai pensato nemmeno per un momento, e qualcosa nel pensiero di lui con una ragazza mi fa provare un diverso tipo di nausea.

«No.»

«Bene.» Annuisco, e il suo sorriso si ingrandisce. «Intendo che è un bene perché mi sentirei orribile se stessi frequentando qualcuno e poi dovessi sposarti con qualcun altro.»

«Myla, lo so.» Mi massaggia un ginocchio e un formicolio comincia a riempirmi il basso ventre.

«Ho rovinato tutto quanto con Nero?» domando, mettendomi a sedere più lontana e sottraendomi al suo tocco.

«Sei andata bene. Noi abbiamo parlato prima che entrassi tu, quindi capisce che stai ancora provando a gestire quello che è successo.»

Mi mordo un labbro e mi cingo con le braccia. Poi guardo fuori dalla finestra. «Quindi adesso che succede?»

«Che succede?» ripete, e i miei occhi tornano su di lui.

«Sì. Adesso che cosa facciamo? Hai detto che dovevamo parlare con il tuo avvocato.»

«Tu non devi fare niente. Ho cancellato l’incontro con l’avvocato quando è arrivato Nero, e adesso ho degli affari di cui occuparmi. Se gli dèi stanno lavorando in mio favore, possiamo risolvere tutto e le cose possono tornare alla normalità,» dice lui piano.

Annuisco appena, concordando, anche se la mia normalità è andata perduta tanto tempo fa.

 

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